Cultura

La storia e i miracoli del Crocifisso Nero che oggi sarà portato in processione (diretta ore 15,00)

La Redazione
Il crocifisso miracoloso di Minervino Murge
Pubblichiamo una nota storica di Mons. Luigi Renna che ci aiuta a comprendere il gesto di questo pomeriggio
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IL CROCIFISSO “NERO” (L. Renna, La Chiesa Madre di Minervino Murge – Un’antica Cattedrale sulla Murgia)

La leggenda fa risalire il ritrovamento del Crocifisso ad un episodio non facilmente databile, in cui la S. Spina conservata nella Cattedrale di Andria e lo stesso Crocifisso furono ritrovati insieme sulle nostre colline; a decidere l’attribuzione delle preziose reliquie furono due buoi: quello che tirava il carro con la S. Spina si diresse verso Andria, l’altro a Minervino.

Questa pia leggenda ha colmato per secoli il vuoto di notizie storiche sul Crocifisso, la cui esistenza è testimoniata per la prima volta nel 1667.

La perizia Tango ci parla infatti di un “Crocifisso di legname antichissimo di grande devozione”. Interessantissimo è un documento risalente a circa trent’anni dopo, la cui copia è stata recuperata da don Vincenzo Turturro nell’archivio Vaticano. Si tratta di una lettera scritta dal Vescovo Francesco Vignola a Papa Innocenzo XII, Antonio Pignatelli, per congratularsi con lui per l’avvenuta guarigione. Il Vignola, originario di Spinazzola, aveva una certa confidenza con papa Pignatelli, che gli aveva affidato diversi incarichi. La lettera, datata 10 aprile 1700, ha il seguente tenore: “raccomandai la sua salute a più religiosi e servi di Dio, fra i quali una divota vecchia di qui per nome Bernardina Strazzulli, nipote del fu Arcidiacono Raffaele, noto alla Santità Vostra. Questa buona vecchia corre con gli stessi anni della Santità Vostra, essendo nata nel 1615, e la vita sua è stata sempre dalla casa alla Chiesa, dove della si poneva in ginocchio davanti all’altare del miracolosissimo Crocefisso collocato nell’altare maggiore di questa Cattedrale, Cappella eretta dalla pietà del signor Principe, fratello di Vostra Santità nel 1630”. La lettera ci testimonia quindi il culto verso il Crocifisso e la data di costruzione dell’altare maggiore, il 1630, per la munificenza del Principe Marzio Pignatelli, fratello del Papa. Si dice ancora nella lettera “che portato una volta in processione diede lume ad un cieco nato oltre i continui miracoli e grazie che fa a questo popolo e ai forestieri”.

Il Consiglio degli Eletti dell’Università, scrive il D’Aloja in data 15 agosto 1675, aveva deliberato di provvedere l’olio necessario per cinque lampade che ardevano davanti al Crocifisso: un altro segno di grande devozione.

In una visita pastorale nella seconda metà del secolo scorso, si fa menzione del SS.nCrocifisso “che si ritiene opera del periodo iconoclasta”, quindi opera di origine greca.nEra, infatti, interamente coperta da uno spesso strato di vernice color cioccolato, talenda essere denominato ormai “Crocifisso nero”, espressione che non appare mai primandell’800. Cosa era accaduto? Semplicemente che il fumo delle lampade aveva anneritonil legno e con il tempo i “restauri” un po’ avventati dei sagrestani (i più anziani nricorderanno Champaneal), lasciarono che il colore scuro divenisse omogeneo a tuttonil Crocifisso. Gli occhi, che nell’originale che ora possiamo ammirare sono chiusi,nfurono dipinti come aperti.

Nel 1857, Mons. G. Longobardi fece edificare l’attuale altare maggiore con il tempiettonin cui è conservato il Crocifisso. Alla sommità della cupoletta è l’allegoria della Carità,nla stessa carità che spinse Gesù Cristo al dono di sé! Nell’ovale sono alcuni simbolindella Passione (il gallo, la lancia, i dadi, etc.) e, al di sotto di esso, un bellissimo voltondi Cristo. Ai piedi della cupoletta due lapidi ne celebrano i prodigi.

LA DEVOZIONE

Una organizzazione del culto al SS. Crocifisso è contemporanea alla costruzionendell’edicoletta marmorea. L’immagine veniva esposta solo nel venerdì, giorno in cuindopo la S. Messa si cantava il «Trisaghion», invocazione al «Dio Santo, Dio forte, Dionimmortale» che rivela il suo amore nella debolezza della croce. Una lapide invita adnavvicinarsi al simulacro prima che “venga chiuso”. Già dal 1776 abbiamo notizie dinquesto particolare «riserbo» nell’ostentazione del Crocifisso: “…è tenuto con sommanvenerazione sempre coverto in una nicchia”.

La devozione è legata ai prodigi, celebrati dalla lapide sotto il tempietto: liberazionendalla peste, dalla fame, dalla siccità. Per questo è celebrato come “una mirabile verganche ha fatto prodigi”. Si nota come si insista molto nei miracoli e meno nel misterondella croce come segno di salvezza, aspetto certamente da recuperare. Degna dinspiegazione è la tavola in velluto e argento su cui viene esposto il Crocifisso nellensolennità. Fu fatta fare dagli agricoltori minervinesi dopo il miracolo del 10 maggion1901, giorno in cui il Crocifisso, portato in processione, donò abbondante pioggia aincampi riarsi da una devastante siccità. La tavola ha due segni che fanno pensare innprofondità al mistero della croce: i simboli Eucaristici e lo Spirito Santo. I priminrichiamano al legame tra croce ed Eucarestia; la colomba posta ai piedi del Crocifissontraduce benissimo quanto nel Vangelo di Giovanni si dice “E diede lo spirito”, nelnsenso di «spirare», ma anche di donare lo Spirito ai credenti, come frutto del suonsacrificio. Questi aspetti rendono quanto mai vera e robusta una devozione alnCrocifisso, considerato nel mistero della Pasqua, dell’Eucarestia, della Trinità stessa.

Le ultime volte è stato portato in processione negli Anni Santi: nel 1975 dai pp. Vincenziani, nel 1983 dai pp. Passionisti e dai Sacerdoti di Minervino, sempre durante ilnvenerdì santo del Grande Giubileo dell’anno 2000, dell’anno della Fede, nel 2013 endell’anno Giubilare Straordinario della Misericordia voluti da Papa Francesco, il 25nmarzo 2016, in concomitanza con l’ultimo prodigio della Sacra Spina.

L’IMMAGINE GIUNTA A NOI

Molti saranno presi da perplessità: non è più nero? È cambiato il nostro Crocifisso? Inrestauri apportati erano necessari, perché il tarlo aveva devastato l’antico legno; allo nstesso tempo si è scoperto che l’«originale» è un Cristo in croce dai colori naturali, dainlineamenti dolci ed espressivi. Nulla viene tolto per chi ha fede.nDi che periodo è? Confrontandolo con alcuni Crocifissi spagnoli del secolo XIV,nnotiamo molte somiglianze: la foggia dei capelli la corona di spine, il volto. Moltonprobabilmente la parte più antica (XVI secolo) è il volto, composto su un corpo piùnrecente, che forse era andato bruciato o consunto.

PERCHÉ IL RESTAURO

È don Luigi di Canosa (1913-1998), parroco emerito di Maria SS. Incoronata, a parlarcene: “Verso la fine di marzo 1994, venne a trovarmi il dott. Domenico Montaruli,nche mi propose, a nome dei fratelli e delle sorelle, un omaggio alla mia persona. Ionchiesi semplicemente se fosse stato possibile un restauro del veneratissimo Crocifissondella Cattedrale. Nel giugno del medesimo anno, il dott. Montaruli mi telefonònaccettando la proposta; mi fece quindi conoscere sua nipote, la dott.ssa AnnamarianLorusso, direttrice del Castello Svevo di Bari. Tramite Annamaria mi fu presentato ilnrestauratore Cesare Franco, come persona esperta e capace. Il restauro fu ultimato innestate e il 10 settembre, con una solenne concelebrazione presieduta da mons. RaffaelenCalabro, vescovo di Andria, la sacra immagine è stata restituita alla venerazione delnpopolo”.

venerdì 3 Aprile 2020

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Anna Violace
Anna Violace
4 anni fa

Eccellente contributo alla conoscenza