Il reportage

Quando la guerra fredda si combatteva sulla Murgia: la storia della basi missilistiche Jupiter

Giuseppe Cantatore. Riprese e montaggio Francesco De Marinis
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Quando la guerra fredda si combatteva sulla Murgia: la storia della basi missilistiche Jupiter
Era la fine degli anni '50, in piena guerra fredda tra gli Stati Uniti e l'allora Unione Sovietica - e gli americani, in accordo con il governo italiano, costruirono sulla Murgia dieci basi missilistiche che guardavano verso Mosca
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Le raccapriccianti cronache che giungono dall'Ucraina raccontano di aggressioni militari, missili lanciati sulle città e persino di minacce nucleari. Una devastazione imponente e impensabile, proprio alle porte dell'Europa, a poco più di 2mila chilometri da noi. Ma c'è stato un tempo in cui tensioni simili – fortunatamente mai sfociate in un attacco – videro protagonista direttamente il nostro territorio. 

Era la fine degli anni '50, in piena guerra fredda tra gli Stati Uniti e l'allora Unione Sovietica, e gli americani, in accordo con il governo italiano in quel periodo guidato da Amintore Fanfani prima e Antonio Segni poi, costruirono sulla Murgia – unico sito di tutta l'Europa occidentale – dieci basi missilistiche "Jupiter" per rispondere alla superiorità strategica che l’Unione Sovietica aveva acquisito in quel periodo. Le strutture ospitavano, in totale, 30 missili nucleari (tre per ciascuna base) ready to fire, ovvero pronti a partire in direzione Mosca. Ogni missile era alto circa 30 metri e aveva una testata nucleare di 1.45 megatoni, ovvero una potenza distruttiva cento volte superiore a quella delle bombe atomiche lanciate nel 1945 su Hiroshima e Nagasaki.

La basi vennero costruite a partire dal 1959 (e poi smantellate nel 1963, in seguito alla famosa crisi di Cuba, grazie all’accordo tra il presidente americano John Kennedy e quello russo Nikita Krusciov) a Spinazzola, Gravina, Altamura, Bitonto, Matera, Irsina (Mt), Acquaviva, Gioa del Colle, Laterza e Mottola. Luoghi considerati isolati e dove la gente faceva poche domande. Siamo stati nella base di Spinazzola, ai piedi del bosco di Acquatetta e a pochi chilometri dal confine con il territorio di Corato, e poi in quella di Gravina, all'interno del bosco "Difesa grande". A guidarci Girolamo Aliberti, appassionato di fotografia che ha più volte immortalato questi luoghi, e Pietro Amendolara, fotografo e profondo conoscitore del territorio murgiano.

Le basi sono pressochè identiche tra loro. Ognuna di esse ha la forma di un triangolo con gli angoli arrotondati. Tra i ruderi, in molti casi avvolti dalla vegetazione, si riconoscono con chiarezza le sei torrette di avvistamento costruite lungo il perimetro e le basi di cemento su cui – negli angoli – erano installati i tre missili, uno di lancio e due di riserva. Più in là, le piazzole dove erano alloggiati i camion con il carburante e, al centro della base, la caserma. Nella cucina della struttura, invasa da alberi e degrado, resistono ancora alcune mattonelle azzurre posate sessant'anni fa.

Mentre giriamo, la base di Spinazzola (che sorge su un terreno privato) è sferzata dal vento. Guardato da quella prospettiva, anche un panorama molto noto come quello del bosco di Acquatetta – nel territorio del parco nazionale dell'alta Murgia – e della fossa bradanica, appare diverso. Perchè conoscere la storia di quelle basi cambia inevitabilmente lo sguardo di chi osserva. Il posto in cui si trova la base di Gravina, invece, è pubblico ed è quindi possibile guardare molto più da vicino la struttura, studiarne i dettagli, percorrerne gli stretti viali pieni di rovi, immaginare come fosse nel 1960 e respirare quell'aria inevitabilmente pesante. Tracce di una storia che, se gli eventi avessero preso un'altra piega, avrebbe potuto non essere raccontata.

Nel video in alto le immagini di oggi, quelle storiche e una testimonianza di cui fare memoria. Nella galleria fotografica, le fotografie di Pietro Amendolara e Girolamo Aliberti.

martedì 15 Marzo 2022

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